Carlo Caggia

Carlo Caggia

A dieci anni dalla presentazione delle Memorie di Galatina di Giuseppe Virgilio

 

Carlo Caggia, ovvero il coraggio dello storico

 

Pubblichiamo il discorso pronunciato da Carlo Caggia durante la presentazione del libro di Giuseppe Virgilio dal titolo Memorie di Galatina. Mezzo secolo di storia meridionalistica e d’Italia (Mario Congedo Editore, Galatina 1998) avvenuta lunedì 4 gennaio 1999, alle ore 18:00, presso la sala “Fede e Cultura” di San Biagio a Galatina. Risentire la sua voce racchiusa nelle parole dedicate al lavoro di Giuseppe Virgilio, nelle quali si riassume la concezione storica dell’autore di Carlo Mauro pioniere del socialismo salentino (1967), Cronache tra due secoli (1976), Carlo Mauro costruttore di civiltà (1996) e Cronache galatinesi (1996), ci sembra il modo migliore di ravvivare il ricordo di Carlo Caggia tra le nuove generazioni.

La Redazione (Il Filo di Aracne)

Un saluto, innanzitutto, allo scelto e anche numeroso pubblico dei concittadini. Gli amici di Galatina mi consentano un saluto alla preside Calabro che per moltissimi anni è stata con noi impegnata nel mondo politico e civile, e un saluto particolare al professore Coppola, Presidente della Società di Storia Patria di Maglie e di Otranto, e a tanti carissimi amici che involontariamente ho omesso di citare. Un saluto particolare a Franco Martina, al quale mi lega un’antica amicizia, pluridecennale, collaboratore apprezzato di quel vecchio giornale [il “Corriere di Galatina”], che per una ventina d’anni pubblicammo a Galatina. Forse, se mi permettete, non siamo vissuti invano, per quello che abbiamo saputo fare, di piccolo, di modesto, di infinitesimale.

Questa sera siamo chiamati a parlare del bellissimo libro di Peppino Virgilio, che io non debbo presentare perché tutti lo conoscete. Però non posso omettere di delineare il suo cursus honorum culturale. Peppino Virgilio nasce liberale. Intendiamoci: a Galatina il termine liberale, specialmente negli anni dell’immediato dopoguerra, significa agrario, cioè non aveva niente di quella nobiltà che la parola liberale ha avuto ed ha ancora oggi. Il gruppo di intellettuali che si raccoglieva intorno a Peppino Virgilio e a Carlo Tundo cercava di dare a questo liberalismo meridionale un’impronta progressista, mentre invece il liberalismo meridionale, salvo rare eccezioni, era solito identificarsi col ceto agrario, cioè con quel ceto che ha dato origine alla questione meridionale. Erano liberali alla Carandini,  Pannunzio, e soprattutto poi, nel corso del loro iter culturale, alla Gobetti. Pensiamo alla Torino degli anni Venti, quel grande crogiuolo di enormi intellettualità, di quelle che pesavano tonnellate, Gobetti e Gramsci, che hanno dato, insieme a Benedetto Croce, ma anche ad altri, la svolta culturale a tutto il ventesimo secolo.

Croce, Gobetti, Gramsci. Ebbene, Peppino è, nel suo piccolo, la sintesi ideologica e storiografica di questi tre grandi indirizzi. Diceva l’apprezzato amico Presidente del Distretto Scolastico e indimenticato Sindaco di Galatina, prof. Rizzelli, che non c’è una storiografia neutra. Chi dice: “Io sono uno storico obiettivo” è un truffatore. Lo storico non è, permettetemi l’espressione francese, au dessus de la melée, al di sopra della mischia, lo storico è una persona come noi, ha una sua formazione culturale, spirituale, religiosa o laica, politica, e quindi le cose le vede necessariamente – in buona fede, sia chiaro – dal suo punto di vista. Non si può dire, come se fosse un fatto negativo, che il libro di Virgilio è un libro di sinistra. E’ un libro chiaramente impostato in una forma liberal-socialista, e contiene degli aspetti di metodologia marxista, di cui non è il caso di scandalizzarsi.

Franco Martina è stato profeta quando, in un suo saggio del 1992, dopo aver parla del “Corriere di Galatina”, riferendosi a Peppino Virgilio scriveva: “Questo intenso lavoro di ricostruzione svolto da Virgilio lo si vorrebbe raccolto e rifuso in un volume che ne esalterebbe certamente l’organicità, ma soprattutto ne faciliterebbe una più larga fruibilità”. Ebbene, caro Franco, sei stato accontentato! Dopo sei anni il professor Virgilio ha soddisfatto questo tuo desiderio e auspicio del 1992.

Io non dirò sul libro di Virgilio nulla di più di quanto ho scritto nell’articolo-recensione comparso il 14 ottobre 1998 sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”.

Il libro è edito da Mario Congedo, qui presente. Mario Congedo ha tanti difetti, però per Galatina ha un grande merito, quello di aver messo su dal nulla – io me lo ricordo ragazzo perché ha qualche anno meno di me – una casa editrice che, anche se  quandoque dormitat Homerus, ovvero se non pubblica sempre dei capolavori, ha edito certamente molti libri interessanti nella sua preziosissima collezione.

Il titolo Memorie di Galatina è riduttivo rispetto al contenuto del libro, perché la città di Galatina è solo l’occasione accidentale, nel senso del latino accidens, per un’analisi precisa e rigorosa dell’Italia meridionale in genere. Questo libro vale non solo per Galatina: dalla lettura, meglio se studio, di questo volume il lettore potrà avere risposte esaurienti sul perché della diversità tra l’Italia centro settentrionale e noi. Virgilio analizza con metodo scientifico nell’Italia del sud il predominio del blocco agrario e del fronte moderato conservatore, che ha diretto, spesso avvalendosi dell’avallo religioso e di quello degli intellettuali – salvo una qualificata minoranza: Dorso, Salvemini, De Viti De Marco, Fiore, per citare solo alcuni fra i maggiori – la politica e l’amministrazione di Galatina.

In sostanza, la storia del Sud d’Italia è una storia di blocchi sociali contrapposti – qualcuno dirà che questa è un’analisi marxista. Bene, a me sta bene così -: il blocco conservatore, il blocco intellettuale, con l’avallo, devo dire, della chiesa storica meridionale. Mi soffermerò un po’ su questo punto, ma non vorrei dispiacere a don Salvatore Bello, che è un mio carissimo amico e mi ascolta di là. Dicevo: questo blocco ha governato l’Italia perlomeno dall’Unità d’Italia a oggi, e per il suo parassitismo ha creato, anzi ha aggravato la cosiddetta questione meridionale. La storia delle classi dominanti del Sud non è una storia esaltante. Noi non abbiamo avuto nessuna imprenditorialità. Gli agrari meridionali, come si diceva, con l’aiuto dei mazzieri, erano dei negrieri. Il massimo del loro lavoro: la banca; ma investimenti, industrie, niente!

Questa storia di Virgilio vale per Galatina e vale per qualunque città a sud di Eboli, perché i termini di paragone politici e ideologici sono sempre quelli. E a proposito della connivenza – mi si passi il termine un po’ pesante – dell’apparato ecclesiastico storico con  questo mondo che io definisco tout court di sfruttatori, fa eccezione un’isola felice, Ugento, dove negli anni venti era vescovo mons. De razza, il quale, ispirandosi al pensiero di Guido Migliori, fonda le leghe bianche, che lottano senza avere nulla da rimproverarsi, senza nulla da invidiare, con la stessa forza, con la stessa determinazione delle leghe rosse. De Razza e il movimento delle leghe bianche, non tutta la Chiesa, che invece si mantiene su altre posizioni. Ugento è un’eccezione, che dimostra come fosse possibile per la Chiesa comportarsi diversamente. E mi dispiace che studiosi cattolici non abbiano valorizzato, studiato, propagandato – se è il caso, perché anche la propaganda ha una sua nobiltà – la figura di questo grande personaggio, il vescovo De Razza che si mise alla testa dei contadini di Ugento, cioè un luogo molto più arretrato rispetto a Galatina e dove la lotta era molto più difficile.

Virgilio ci ricorda che i temi principali della polemica meridionalistica sono stati la protezione doganale dei prodotti industriali del Settentrione a danno dei contadini meridionali e la nascita di una classe operaia privilegiata nel Nord, sempre a scapito dei contadini. L’Italia fu piemontesizzata e fu inaugurata una politica di protezionismo economico, nel senso che il Sud non poteva più esportare i prodotti agricoli, e quindi si arricchiva il Nord e si impoveriva il Sud.  Bossi queste cose forse le ignora – dico forse per essere buono -. Quanto ha influito, per esempio, la concessione di terreno incolto in enfiteusi per essere trasformato in ridenti vigneti? L’enfiteusi, come ognuno sa, è un istituto di origine medievale, per cui il proprietario dà roccia ai contadini che pagano il canone enfiteutico e i contadini trasformano la roccia in giardini. Ecco un’altra fonte parassitaria di arricchimento dei proprietari. Chi pagava? Il contadino. I soldi, le proprietà, come le hanno accumulate questi agrari? Quando i contadini stanno per raccogliere il frutto del loro massacrante lavoro nei vigneti, subentra il crollo dei prezzi – il diavolo a volte ci mette la coda -, il crollo del prezzo del vino in seguito alla rottura delle relazioni commerciali con la Francia nel 1887. I coltivatori falliscono e i proprietari riacquistano le terre dapprima incolte ed ora messe splendidamente a vigneto. Subito dopo il prezzo dei vini ritorna a salire. Quindi, doppio affare per gli agrari e doppia beffa per i contadini. Per non parlare poi della rapina dei beni ecclesiastici, che a prezzo vile divennero appannaggio della classe dominante. Nelle nostre città meridionali abbiamo molta gente che ancora possiede un sacco di proprietà comprata – quando l’ha pagata – per quattro soldi. Tutta proprietà che doveva essere dello Stato, della collettività. I beni ecclesiastici dovevano essere beni demaniali, ma ci furono i ricchi del tempo che divennero ancora più ricchi senza pagare nulla, o quasi.

Queste cose ce le dobbiamo dire per capire la storia, altrimenti facciamo liturgie, diciamo belle parole: tutti bravi tutti buoni. Bisogna avere il coraggio, forse anche sbagliando, di dire quello che si pensa.

Un altro esempio, e finisco. L’accumulazione capitalistica e la battaglia del grano di mussoliniana memoria: i più anziani se la ricordano, io ero piccolino, ero balilla, andavo con la divisa. Che disastro! Il fascismo introdusse il dazio sul grano. Ma chi se ne avvantaggiò? si chiede Virgilio. Non il piccolo proprietario, che consuma tutto il grano prodotto – se lo mangia, infatti, che deve guadagnare? -, non il contadino medio che, non disponendo di capitali, vende il grano quando è ancora nei campi, lo vende a buon prezzo perché deve pagare le spese. Comprano solamente l’usuraio, i banchieri, i capitalisti. Per i contadini produttori continua la rapina del loro lavoro, a cui si aggiunge l’aumento del prezzo del pane che colpisce in particolare le fasce sociali più deboli.

Questi sono solo alcuni esempi che Virgilio richiama alla nostra attenzione, sufficienti, però, a differenza delle pseudo-storie edulcorate, laudative e superficiali, alle quali tanta subcultura – ecco perché il Sud non ha mai avuto, se non raramente, un respiro nazionale – ci ha abituati per tanto tempo, per troppo tempo, sufficienti, dicevo, a farci capire attraverso quali meccanismi economici, politici e culturali si è bloccato lo sviluppo del Mezzogiorno, tanto che ancora oggi si pone in termini drammatici la questione meridionale.

Io mi fermo qua. Scusate l’impeto, ma io sono passionale per natura. Quindi chiedo scusa se vi ho annoiato, se sono stato forse esagerato in qualche mio passaggio. Dovete perdonarmi: è un fatto caratteriale. Grazie.

Carlo Caggia

(a cura di Gianluca Virgilio)

da “Il Filo Di Aracne”

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