Il Tarantismo

GALATINA – Storia del Tarantismo

La leggenda racconta che l’apostolo Paolo fù ospitato da un galatinese nella propria dimora, detta “casa di San Paolo”, dove poi fu edificata la cappella. Il Santo, per riconoscenza dell’ospitalità, donò ai galatinesi l’immunità dal veleno delle tarantole. Dietro la cappella c’è il pozzo con l’acqua miracolosa che faceva guarire da punture e morsi di animali velenosi. Chi accompagnava la tarantolata attingeva l’acqua dal pozzo con un secchio e ne faceva bere fino a quando la donna invasata non la vomitava nel pozzo stesso. Almeno per quell’anno il miracolo era compiuto.

Il tarantismo: è un fenomeno isterico convulsivo che colpiva chi veniva morso dalle tarantole. Una condizione di malessere generale simile all’epilessia e all’isteria, che vedeva tra le sue “vittime” soprattutto le contadine. Secondo la tradizione popolare, per guarire dai sintomi del tarantismo bisognava sottoporre la “vittima” ad un rituale terapeutico, domiciliare o nella piazza del paese, nel quale, grazie ad un complesso ritmico, musicale, vocale e anche cromatico, si riusciva a guarire chi era stato colpito dal morso. I sintomi, però, si ripresentavano ogni anno, generalmente all’inizio dell’estate, e puntualmente la “tarantata” si doveva sottoporre al rito terapeutico, che poteva durare anche giorni nel tentativo di trovare la giusta combinazione di vibrazioni e note musicali. Lo strumento principe di questo rito quasi esorcistico era il tamburello. Durante la “suonata” la donna si dimenava sul pavimento, danzava e cantava fino allo sfinimento. Secondo la credenza popolare, infatti, far consumare tutte le energie alla “tarantata” significava annientare anche la taranta. Alla leggenda, però, si aggiunge un pizzico di verità: infatti il ballo convulso, aumentando il battito cardiaco e stimolando il rilascio di endorfine, favoriva l’eliminazione del veleno. Il fenomeno del tarantismo trova particolare importanza nel Salento e, soprattutto, nel paese di Galatina. Nella piccola Cappella di San Paolo fino a pochi anni fa le “tarantate” venivano portate, ogni 29 giugno, a bere l’acqua del pozzo della cappella, per trovare la guarigione. Il santo, infatti, è ritenuto il protettore di coloro che sono stati morsi da un animale velenoso. La piccola cappella privata di Galatina, però, nel corso dei secoli divenne teatro di numerosi atti quasi osceni che le tarantate mettevano in atto quando erano in preda alle loro convulsioni, e per questo fu sconsacrata. Proprio a Galatina, fino a pochi decenni fa, non era raro assistere a rituali di guarigione dal morso della taranta. Le “tarantate”, spesso attratte anche in modo violento dai vestiti colorati delle persone, venivano lasciate sfogarsi in piazza, circondate dagli oggetti che loro stesse richiedevano (catini ricolmi d’acqua, vasi con erbe aromatiche, funi, sedie, ecc.). Durante questa fase l’ammalata si abbandonava a convulsioni, assumendo posture particolari e identificandosi con la tarantola che l’aveva morsa. Un rituale che finiva quando, simbolicamente, la donna riusciva a sconfiggere il ragno. Negli ultimi anni, svaniti quasi nel nulla i riti di guarigione, si è sviluppata in modo enorme la rappresentazione ritualizzata del ballo delle tarantate. Tanti sono i gruppi salentini che portano in giro per l’Italia gli antichi canti e le suggestive danze. Nel Salento l’evento più importante in proposito è la “Notte della Taranta”, che annualmente si svolge in molte piazze della provincia, attirando migliaia di appassionati e curiosi da ogni parte del mondo.

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